domenica 28 febbraio 2010

Cenni agli studi scientifici sul paranormale

In passato, gli eventi paranormali rientravano tra i fenomeni studiati normalmente dalla scienza.

Sembra che molti studiosi si siano avvicinati alla descrizione e allo studio di eventi paranormali solo dopo avere vissuto delle esperienze inspiegabili.

A questi studi ha dato un contributo importante lo psichiatra americano Ian Stevenson .
Questi, dopo avere esaminato un numero considerevole di casi, si convinse dell'esistenza del paranormale e scrisse diversi libri sulla materia, descrivendo i casi studiati ed esponendo il suo approccio scientifico.

Paranormali, dice Stevenson, sono i "fenomeni che sono ancora poco compresi ma che innegabilmente esistono."
E aggiunge che gli eventi di tale tipo sono solo fatti che non si riescono a spiegare per mezzo di alcun processo sensoriale o muscolare.

Interessanti sono anche le descrizioni dei casi osservati e i dettagli che riporta nei suoi libri.

Stevenson si convinse anche che nell'infinità delle combinazioni genetiche possibili, alla base dell'esistenza di ognuno di noi deve esserci assolutamente qualcosa che guida la combinazione dei geni.

Oggi la scienza considera gli studi di Stevenson "non scientifici", ma intanto altri scienziati si stanno interessando allo studio di fenomeni paranormali come la xenoglossia e la telepatia.

Sheldrake ad esempio, sostiene che il nostro cervello sia solo un organo che utilizziamo per metterci in contatto con qualcos'altro.

Se alcuni eventi sono stati verificati e sono stati vissuti da persone che hanno dato il loro indiscutibile contributo all'umanità e che li hanno appuntati con cura,
come ha riportato Stevenson, forse ci sono fatti che meriterebbero maggiore attenzione da parte degli scienziati.

Ciò che esiste potrebbe essere infinitamente più di ciò che conosciamo e ciò che vediamo potrebbe essere solo una parte di ciò che esiste e
la scienza dovrebbe tenerne conto.

lunedì 22 febbraio 2010

Finalmente oscurato su Facebook il gruppo "Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini Down"

Chi, come noi, è stato abituato ed educato a convivere con chi soffre e a prendersi cura degli altri - che siano stati i figli delle sorelle, i nonni, i vicini disagiati - rimane a dir poco sconcertato leggendo che qualcuno abbia solo potuto cullare quella che non mi sembra corretto definire un'idea.

Eppure il gruppo "
Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini Down", contava più di duemila iscritti ed era popolato dai commenti sgrammaticati di persone che sostenevano che chi soffre della sindrome di Down è solo un peso e un costo per la società e che i bambini Down andrebbero necessariamente abortiti.

Gli autori invece si celavano dietro due nickname.

Il nascondersi dietro dei nick e il fatto di non essere in grado di scrivere correttamente in italiano, rendono perfettamente l'idea del tipo di persone che ha militato in questo gruppo.

Eppure ricordo nitidamente persone che avevano smesso di studiare dopo i primi anni alle scuole elementari che però erano dotate di un'umanità fuori dal comune.

Mi chiedo allora quale sia il messaggio che è stato dato a chi ha creato e a chi ha aderito a questo gruppo e in quali contesti sia stato ricevuto.

E' lo stesso messaggio che è stato trasmesso ai fautori dell'eutanasia, anche quando il malato è deciso a lottare, o dell'aborto "per le vacanze", come ha spiegato tempo fa un medico.
Il messaggio che "non si lotta, non si cura, ma si sopprime", magari per passare un fine settimana spensierato.

Affermazioni come quelle che ho letto sul gruppo di cui parlo sopra, mi fanno pensare a una fetta di società che è stata abituata ad essere irresponsabile, abituata a curarsi solo del proprio divertimento.

Ma quanto deboli sono le persone che non lottano, che non si confrontano con chi sembra più disagiato, quanto è superficiale chi ha fatto del divertimento l'unica ragione di vita.

A prescindere dal fatto che siamo sani o "non normali" abbiamo tutti la stessa dignità e lo stesso diritto di vivere una vita dignitosa.
Non sono i bambini Down a non dovere nascere, non sono i malati a non dovere esistere, né tutti coloro che non sono accettati perchè diversi.

E' la società che deve cambiare.

La società deve imparare a confrontarsi con quella che ritiene diversità, deve dare pari possibilità a tutti, deve imparare a fare fronte alle esigenze di chi è più disagiato e soprattutto deve abituare al rispetto degli altri per quanto diversi essi siano.

Dietro quanti nomi importanti di artisti, scienziati, umanisti, filosofi, pittori, scultori, che con le loro opere hanno reso grande l'umanità, c'era un handicap.
Toulouse-Lautrec era affetto da nanismo.

E quando Bach, Beethoven, acquisirono gravi handicap, non smisero di lottare, ma continuarono a produrre grandi opere.

La vera forza di un essere umano non si misura dalla volontà di emarginare o addirittura di sopprimere il "diverso", ma sta nel saper trovare il modo di confrontarsi e imparare qualcosa da chi è nato con un handicap che spesso possiede delle capacità che noi "normali" non abbiamo.

La diversità è costruttiva.

Gruppi come quello di Facebook sono il frutto di una fetta di società disinformata che sembra non volere prendere atto della diversità, adeguarsi ad essa e rispettarla.

venerdì 12 febbraio 2010

Un futuro fosco

Tempo fa ho assistito a una situazione che mi è sembrata emblematica del nostro tempo: trentenni da una parte, sessantenni dall'altra.

I sessantenni discutevano e proponevano, i trentenni tacevano e sembravano non avevare nulla da replicare.
Uno solo dimostrava di provare rancore verso quella generazione che, a suo dire, ha creato un futuro fosco.

Ora è naturale che a periodi di forte espansione si alternino periodi di recessione, ma vale la pena di fare alcune considerazioni.
Innanzitutto, se viviamo in una società più libera e più ricca, dobbiamo qualcosa ai nostri genitori che hanno posto delle nuove questioni, esasperando però alcune idee e rigettandone completamente altre.
Ma la vecchia generazione ha anche creato delle correnti di pensiero che hanno incancrenito la società.
E quali sono le alternative proposte da chi oggi ha tra i trenta e i quarant'anni?
Hanno detto che tutto è relativo e che nel rispetto degli altri tutto è lecito.
Molti ricorderanno che, seguendo questa corrente di pensiero, alcuni hanno commesso efferati omicidi, proprio perchè la vittima era d'accordo.
E' indiscutibile che ci siano verità relative, ma esistono verità assolute, pilastri che si chiamano bene e male.
Hanno detto che Dio è solo una favola che l'uomo ha inventato per alleggerire l'esistenza e che le storie raccontate dalle varie religioni sono solo delle leggende, ma non si può vivere pensando che la vita avrà come fine il buio, l'uomo non può rimanere vuoto e senza speranza e l'universo è troppo immenso e troppo perfetto perchè Dio non esista.
Ci hanno detto che la famiglia è un'istituzione da superare e noi non siamo riusciti a controbattere che è il primo nucleo della società e che se è sana, tutta la società è sana.
Hanno detto che il lavoro doveva essere messo al primo posto e molti hanno rinunciato ai figli e a una nuova famiglia per costruire una carriera, ma che ne è stato di chi ha rinunciato agli affetti e non è riuscito a costruire una situazione economica più serena o di chi pur avendo una carriera brillante, sente un vuoto incolmabile che è dovuto alla carenza di affetti sinceri?
Non avremmo potuto fare carriera accettando dei nuovi affetti?
Le persone che hanno una vita affettiva appagante, non sono poi quelle che riescono in tutto e che rimangono stabili anche davanti ai fallimenti?
La mancanza di amore rende l'uomo più infelice che la mancanza di beni materiali che invece svuotano l'uomo come fa una calamita.
Ci hanno fatto studiare perchè non dovevamo svolgere lavori umili, eppure, anche se lo studio è fondamentale, ogni lavoro svolto con passione e competenza ha la stessa dignità di ogni altro.

Ci hanno detto che dovevamo viaggiare per lunghi periodi per vivere altre culture e aprire le nostre menti e noi non siamo riusciti a dire che anche se viaggiare è importante, lasciare i propri amici lascia un vuoto che non potrà essere colmato da nessun altro.

Amici. Anche i nostri genitori ci sono stati amici,
ma un amico è un amico, un fratello è un fratello, un padre è un padre.

No, noi non abbiamo fatto proprio nulla per creare alternative al loro futuro fosco.

Chi oggi ha trent'anni non ha nessuna certezza. Certezze ideologiche innanzitutto, certezze materiali in secondo luogo. Molti non hanno ancora una famiglia, non una casa, non un lavoro stabile, si dice che l'ascensore sociale si sia fermato.
I nostri genitori hanno rivendicato i loro diritti.
Noi, forse inebetiti dai programmi televisi, dal benessere, dall'amicizia dei nostri genitori, non abbiamo proposto alternative al futuro fosco che loro hanno creato.

Ora la società è cambiata notevolmente ed è ora di proporre alternative, di porre dei limiti e magari di rivalutare ciò che di buono c'era nella vecchia cultura che è stata rigettata.
Fino ad ora, in fondo, abbiamo ubbidito ai nostri genitori molto più di quanto loro abbiano ubbidito ai loro.

Presentazione libro: "La legge del più forte"

Chi non conosce la storia di Pollicino? Ma quanti di noi sanno che ha un fondo di verità?

Una volta, presso alcuni popoli, quando non c'era abbastanza ricchezza per tutti, si abbandonavano i bambini.


Lo facevano anche gli antichi romani che li lasciavano nei pressi della colonna Lactaria, nella speranza che qualche donna pietosa si fermasse ad allattarli (http://www.catacombe.roma.it/it/ricerche/ricerca10.html).


Oggi, grazie al progresso e all'informazione, consideriamo questa pratica un crimine.


Anche i neonati sono esseri umani. Nessuno è stato adulto senza mai essere stato un adolescente, un bambino, un neonato e ancora prima un feto e un embrione.


Per usare parole di altri, chi si sente di dire "non ero io nel grembo di mia madre"?

Non è una questione morale, non ha nulla a che fare con la Chiesa, basta riflettere.


E, considerato che la riproduzione e la morte sono i mezzi che la natura ha stabilito per migliorare la nostra specie, l'interruzione di gravidanza non si può considerare affatto un progresso.


So che l'aborto è un tema scottante di cui molti preferiscono non sentire parlare e verso il quale si è generalmente colmi di pregiudizi, anche verso chi ne parla.


Ma pensiamo che la conoscenza umana, la scienza progrediscono perchè si pongono domande, grazie alla "crisi".


Pensiamo che ai tempi del Nazismo era scandaloso pensare che tedeschi ed ebrei avessero gli stessi diritti.


Per questo vale la pena ascoltare e leggere anche le riflessioni di chi per noi ha idee sbagliate.


Oggi si dice alle donne che l'aborto è una cura, un diritto, ma la maggior parte di loro non sa cosa avvenga durante un'interruzione di gravidanza, né cosa sia un embrione o un feto, non sa come si metta in pratica questo diritto.


Nel mio racconto "La legge del più forte" ho deciso di non parlarne in modo diretto.


Ho scelto questo modo di raccontare per il rispetto che provo verso chi non ha avuto la possibilità di nascere, ho preferito limitarmi a fare dei cenni che inducano il lettore curioso a cercare immagini e video che mostrino la cruda realtà dell'interruzione di gravidanza.


Nel libro, ho deciso di mostrare chi non è ancora nato attraverso gli occhi di un'adolescente che vive emozioni intense e spontanee e vede queste creature estremamente vitali, ma senza alcuna possibilità di difesa.


Ho preferito non dire che la maggior parte degli aborti terapeutici si pratica con feti sani, che a Torino, al Sant'Anna, per la salute psicologica della donna, nelle gravidanze trigemellari uno dei feti viene ucciso con una puntura al cuore e che spesso questo provoca la morte di tutti i gemelli.


Non è questo l'aiuto che uno stato civile e che crede nel progresso e nell'evoluzione, dovrebbe dare.
Non è questo il diritto che le donne, anzi che le famiglie dovrebbero rivendicare.
Lo Stato deve dare alle donne tutti i mezzi e l'aiuto per crescere i figli che se non sono voluti, possono essere adottati da famiglie che li accoglierebbero con amore.


Una società civile ed evoluta deve restituire valore alla vita.


L'emancipazione non equivale alla sterilità.


La società moderna deve adeguarsi e valorizzare la diversità e sfatare le idee false.


Una persona diversamente abile quando è accettata e amata dalla famiglia non è più infelice di chi è bello, è ricco, ma ricorre alla droga, alla chirurgia estetica - pensate a Michael Jackson - per noia, per rincorrere chissà quale ideale, perchè bisogna essere belli e brillanti e non si può fallire per nessun motivo.


Chi ha stabilito che ci si rovina la vita ad avere un figlio a quattoridici anni? A rovinare la vita sono i falsi valori, ideali sbagliati, le cattive amicizie, la droga.
La cronaca è piena di ragazzini che si drogano per rompere la monotonia, piena di adolescenti che muoiono di anoressia per rincorrere un opinabile ideale di bellezza che non riusciranno mai a imitare.


La vita è sempre dura, non è con l'aborto che si risolvono i problemi.
Non si fugge, ma si combatte.


Per tornare alla tutela dei diritti delle donne, vorrei ribadire che loro spesso non sanno che ci sono cure e medicine che oggi si ritengono superate e dannose, né che gli effetti dei farmaci, e penso alla celebre pillola abortiva, si scoprono dopo che vengono utilizzati per parecchio tempo dalle masse, da chi accorda fiducia alle case farmaceutiche acquistando i loro prodotti.


Chissà quali si scopriranno tra qualche anno gli effetti della pillola abortiva, chissà cosa si sarà scoperto sull'embrione e sul feto intanto.



Alcuni scienziati si sono già chiesti quali siano le cause che portino ad una combinazione genetica tra le innumerevoli possibili e alcuni sostengono che questo sia possibile solo per l'intervento di qualcosa che non comprendiamo ancora.

Ma, mentre la nostra conoscenza è così limitata, uccidiamo chi riteniamo non abbia coscienza eppure è tanto vitale.


Questo perchè c'è chi ritiene che i movimenti del feto siano dovuti alle stesse reazioni chimiche che provocano il movimento della coda di una lucertola priva del corpo, ma dico io, quella non diventa un uomo.


Ho scritto "La legge del più forte" pensando ai giovani, anzi alle giovanissime, a tutti quelli che leggono recandosi a scuola o a lavoro e non vedono l'ora di finire quel libro che hanno iniziato sul treno o sull'autobus.

Ho scritto pensando a tutte le ragazze che non amano leggere, ma che forse potrebbero addentrarsi nella lettura di quel libricino e di quella storiella che non richiede particolare attenzione.

Non volevo dilungarmi in pagine inutili e ridondanti ripetendo l'unica cosa che volevo dire: una legge è stata necessaria per disciplinare una pratica diffusa e pericolosa, ma deve essere superata.

Non critico la legge, ma ho messo in luce alcuni degli aspetti peggiori che l'hanno prodotta e che la sostengono.

Il libro è stato criticato per la sua brevità, per la sua semplicità, perchè ho solo lasciato immaginare certe situazioni senza esprimerle chiaramente, ma non volevo essere ripetitiva e parlare in modo palese di cose che risultano già evidenti.
E poi una storia deve anche lasciare spazio all'immaginazione, ai sogni, deve permettere di fantasticare.
Forse è stato per via della televisione, dei computer, del nostro stile di vita, ma sembra quasi che molti abbiano perso queste capacità e questi piaceri.

Ho scritto anche per rendere delle informazioni fruibili da tutti e chi vuole farsi capire cerca una comunicazione efficace, semplice.
Non voglio paragonarmi ai grandi predicatori, ma tutti usavano la lingua del popolo.
Gesù, parlava in dialetto aramaico.


Con tutto questo non voglio creare nei lettori inutili aspettative.
E' un racconto a tema, una storia semplice, qualche riflessione utile.
Più che scrivere una bella storia,mi interessava porre delle questioni nuove.

I personaggi conservano tutti la franchezza tipica di alcuni paesi del Sud, Samuel invece è la parte di società che preferisce rimanere indifferente di fronte ad alcune tematiche.

Per non annoiare il lettore, non mi dilungo ulteriormente.
A chi vuole saperne di più consiglio di leggere il libro.

domenica 7 febbraio 2010

Formare un modo nuovo di vedere le cose

Sembra che le ragioni del sottosviluppo di alcune aree geografiche siano da ricercare proprio nella mentalità dominante.
Un modo di pensare che tanto per fare qualche esempio, l'immigrazione, la diffusione di informazioni corrette su come si vive in altri paesi, lo studio dell'educazione civica e altro potrebbero contribuire a modificare.

Tanto per iniziare, ci sono aree che ancora oggi non riescono ad evolversi perchè non esiste la mentalità della cooperazione.

Alcune regioni non crescono perchè manca la collaborazione tra i cittadini, non si rivendicano i propri diritti perchè ognuno pensa a se stesso e così alcuni paesi vengono praticamente abbandonati per andare altrove, dove esiste la mentalità della cooperazione.

Chi rimane pensa che, per stare bene, sia normale e corretto prevaricare in qualche modo gli altri: appropriarsi abusivamente delle loro proprietà, creare discariche a cielo aperto - non importa se nei pressi delle falde acquifere -, sfruttare l'onestà e il lavoro degli altri, senza neanche pensare quanta soddisfazione ha chi ha realizzato qualcosa con i propri sforzi.
Il tutto con l'appoggio di chi governa, degno rappresentante di chi lo ha eletto.
Quanto ci sarebbe da imparare anche solo dagli studenti svedesi per i quali solo copiare è una vergogna.

Ma proseguiamo.

Spesso manca del tutto il senso del "bene comune": quel bene che è di tutti, che si fa' con i soldi di tutti, che serve a fare stare bene tutti, che si riflette su tutti. Il bene comune è il bene di ognuno di noi e se aumenta, cresce il benessere di ognuno di noi.
I comuni dovrebbero scriverlo in ogni angolo delle città.

Alcune società non crescono perchè non ci si abbassa a fare certi lavori, perchè le mamme ci pensano come se fossero una vergogna e non vorrebbero mai che i figli li svolgessero.
E così non c'è chi coltivi la terra, non si trovano più gli utilissimi calzolai o i falegnami che tanti pagherebbero molto bene, non si trovano bravi professionisti.
Ci sono tanti avvocati, ingegneri, ma tra questi è difficile trovare una persona veramente competente nel proprio settore, spesso proprio perchè si è scelto di seguire un percorso di studi per fare piacere ai genitori o per darsi importanza.

Ma che senso ha che in alcuni paesi quasi tutti i laureati siano medici e gli altri lavori siano ritenuti di minore utilità? Se non ci fosse chi lavora la terra nessuno di noi potrebbe vivere.
Se l'istruzione italiana non è più valida non è anche perchè troppa gente è stata costretta a seguire corsi di studi ai quali non era interessata? Non sarebbe stato meglio formarli bene per un'attività per la quale si sentivano portati?

"Si lavora dove si trova lavoro" diceva con estrema umiltà una persona che proveniva dalla Svizzera tedesca e che pure aveva di che vantarsi. Quanto è più avanti questa opinione rispetto ad altre che ho sentito da qualcuno che sostiene che una persona che ha tanto studiato non possa svolgere lavori che agli occhi di tanti sono troppo umili.

Ricordo che anche i ragazzi tedeschi, mentre studiavano per laurearsi, si sostenevano facendo assistenza o lavorando in qualche locale. Non rimanevano mai con i genitori in attesa di avviare una propria attività o di potere lavorare nel proprio settore, perchè tutti i lavori servivano a fare esperienza.

Certo, purtroppo c'è un abisso tra il Nord Europa e alcune regioni dove le famiglie preferiscono non fare lavorare i figli perchè i diritti dei lavoratori spesso non sono tutelati. A volte è vero, altre volte si tratta solo di scuse e il tutto va a discapito dei giovani che così non maturano adeguatamente e non imparano nè a destreggiarsi nel mondo del lavoro, nè a rivendicare i propri diritti.

Se tutti i giovani lavorassero forse imparerebbero a cooperare per rivendicare i propri diritti.

Ci sono paesi dove non è tanto importante l'attività che si svolge, quanto che la si svolga con passione e con estrema competenza. E in questi posti ogni lavoro acquisisce importanza e queste società progrediscono.

Quanto sarebbe più avanti la nostra società se ognuno di noi svolgesse un lavoro che lo appassiona.

Sembra quasi che in alcune zone non esista la mentalità del lavoro.

Mi viene in mente allora anche il problema della corretta erogazione del denaro pubblico.
Erogare contributi a fondo perduto a chi non li sa sfruttare, non è solo un dispendio inutile di denaro? Si dovrebbe premiare chi ha dimostrato di saperli utilizzare, i meritevoli, non chi li ha sfruttati costruendo un'industria che ha lavorato un giorno per poi essere dismessa.

E allora è utile erogare contributi per costruire una società più ricca, ma altrettanto opportuno e sensato è investire in formazione. Innanzitutto per creare una mentalità nuova e poi per ripartire la ricchezza equamente dando lavoro a chi pensa di dovere lasciare la propria terra.