sabato 26 giugno 2010

Risposta alle polemiche di un gruppetto di femministe

Quello che mi chiedo oggi é come si possa parlare male di una persona per partito preso o per sentito dire, senza conoscerla, senza conoscerne il pensiero, senza avere informazioni di prima mano, senza avere mai letto un brano scritto da chi si sta contestando.

"Tale Maria Gangemi" aveva segnalato da tempo che la pillola abortiva é superata all'estero e che é stata introdotta in Italia solo per supportare l'industria farmaceutica.

R
icordo ancora che l'Italia ha una tradizione culturale ricca e antichissima e, sebbene sia lodevole studiare come si vive all'estero e confrontarsi con gli altri paesi, bisogna sempre tenere a mente che in nazioni che si professano civilissime é ancora in vigore la pena di morte.

Dunque non tutto ciò che si fa fuori dall'Italia é più giusto, più democratico, più civile.
Ci sono paesi che nel silenzio si sono macchiati di crimini gravissimi nei confronti dei propri cittadini (D'Antonio Michael, La rivolta dei figli dello Stato, Fandango ISBN 8887517584).

Ricordo anche che questo blog si chiama "Riflettendocisu" e ne ho enunciato lo scopo nel primo post.
Non propongo verità assolute, ma inviti alla riflessione su determinati argomenti.


Il post che viene contestato nella discussione a cui rispondo é inoltre ben documentato.

Ho riportato diverse fonti tra cui alcune cattoliche che ritengo attendibili.

Ho tenuto conto che per quanto ci si sforzi di essere obiettivi, alla fine ogni testo si concretizza in un punto di vista.
Ci sono libri che per motivi ideologici escludono la consultazione di alcune fonti o glissano su determinati argomenti.

Non credo che esistano fonti non manipolate.

Dopo avere consultato diversi libri, sono giunta alla conclusione che nel lungo percorso che ha portato alla legalizzazione dell'aborto un ruolo decisivo sia stato svolto dalla preoccupazione per l'incremento demografico e dall'eugenetica.

Medici e scienziati sanno benissimo che l'embrione é vita dall'inizio, ma non si fa nulla di serio per evitare l'aborto proprio per i motivi citati sopra.

A noi europee hanno insegnato che interrompere la gravidanza é un diritto, altrove le donne vengono costrette alla sterilizzazione o all'aborto.

Come persona che pensa, in questo diritto non ci credo.
Voi femministe siete libere di credere che lo sia e rimanete libere di esercitarlo.

Io penso che tutte le vite siano degne di essere vissute, ma non ho mai giudicato nessuno.
Rispetto gli altri punti di vista, continuo a confrontarmi con gli altri e non mi nascondo dietro un nickname.

Quello che mi chiedo ancora una volta é quante donne sappiano cosa sia un aborto.

A chi mi ha criticata rispondo che
purtroppo c'é gente che spesso, dietro la parvenza di una cultura vastissima, nasconde l'incapacità di esprimere opinioni proprie.

Così si può leggere e imparare tantissimo senza capire ciò che si sta apprendendo o si può arrivare a criticare qualcosa o una persona senza motivi validi o per sentito dire.

Le idee politiche possono imprigionare le menti e privarle della capacità di valutare idee diverse, quanto e ancora più dei dogmi religiosi.

Concludo dicendo che i popoli che uccidono sistematicamente i propri figli sono destinati a estinguersi.

Come ho detto altrove, per quanto gloriose possano essere le nostre vite, i figli sono tutto ciò che rimarrà di noi.





venerdì 4 giugno 2010

Rossella

Oggi abbiamo ricevuto un'altra lettera di Lucia che ci ha scritto ancora per raccontarci un'altra storia, quella di "Rossella", una ragazza emarginata fin dall'infanzia per problemi familiari.

Rossella si é trovata a interrompere una gravidanza per compiacere il suo compagno, ma in seguito ha dovuto affrontare da sola le conseguenze di questo gesto.

Forse Rossella non é mai stata fisicamente sola, ma quella che leggerete é la storia di una ragazza che ha cercato in tutti i modi di farsi amare ed accettare e che nonostante questo, probabilmente non si é mai sentita né amata, né accettata, né compresa.

E' la storia di una ragazza che ha vissuto per molto tempo un senso di solitudine interiore.



Conoscevo Rossella fin da quando era bambina, la sua era una famiglia di quelle "difficili", di quelle che la società emargina.

Sia lei che i suoi fratelli furono ospiti di un'istituto di suore battistine che si occupava di minori in difficoltà sin dagli anni '50 (ora è diventata una struttura alberghiera gestita sempre dalle suore!).

Un giorno incontrai Rossella in un ambulatorio dove aveva appena fatto un prelievo e le chiesi come mai si fosse sottoposta a quelle analisi.

Rossella abbassò lo sguardo e inventò una scusa, poi mi raccontò di convivere con un giovane già separato che sapevo aveva avuto problemi di tossicodipendenza.

Scappò via subito e mi resi conto che le analisi nascondevano qualcos'altro.

Riuscii a sapere che aspettava un bambino e che voleva interrompere la gravidanza.

Una suora che la seguiva quando era in istituto fece in modo che noi volontarie potessimo avere un colloquio con lei.

Sembrava avere abbandonato la volontà di abortire, ma dopo qualche tempo, pose ugualmente fine alla vita del suo bimbo.

Tre giorni dopo l'intervento si presentò al centro di aiuto alla vita.

Era distrutta e diceva di volersi uccidere perchè non era stata capace di dire no al compagno e alla mamma di questi che volevano che abortisse.

Iniziò cosi il calvario di Rossella.

Ci cercava tutti i giorni per trovare conforto e noi la facevamo parlare con un sacerdote, con una psicologa, le volontarie non l'abbandonavano, e le trovarono un lavoro.

Nessuno l'accusò del suo gesto ma poco alla volta Rossella scivolò nell'anoressia perchè voleva distruggere quel corpo che le ricordava l'omicidio.

Passarono tre anni, Rossella perse anche il ciclo mestruale e la speranza di avere un'altra gravidanza.

Molto lentamente, con l'aiuto di Dio e con tanta fatica riucì ad uscire da quel tunnel e finalmente si scoprì di nuovo mamma.

Ora ha una splendida bambina di due anni e da tempo ha dato un nome, Angelo, anche al bimbo abortito.

Oggi, dopo avere elaborato quel lutto, riesce a testimoniare del suo vissuto.

martedì 1 giugno 2010

Mariella e Lucia: quando le belle parole non bastano


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Pubblichiamo ancora una storia vera.

Questa testimonianza ci é stata inviata da una volontaria che ha operato per lungo tempo in un centro di aiuto alla vita in Calabria.

Il sostegno offerto in questo caso é andato molto oltre le belle parole.
Questa storia é un esempio grandissimo di solidarietà e la riportiamo come ci é pervenuta perchè nulla vada perso.

Come si comprende dal testo, presto riceveremo altre testimonianze da parte della stessa persona.
Ecco la prima storia, la prima in ordine di tempo, quella che ha segnato il cammino dell'associazione e della mia storia personale.

Eravamo proprio ai primi passi e li facevamo in ospedale, con la scusa di andare a salutare un'amica infermiera, una parente ricoverata.
Si andava al reparto maternità dove i bambini, oltre a farli nascere, li uccidevano con l'aborto.

Una mattina, salutando la suora che lavorava nel reparto veniamo informate, io e la mia amica Mariella - mamma di quattro figli a quel tempo perchè poi di figli ne ha lasciati cinque, morendo di cancro a soli 41 anni lo scorso 23 settembre - veniamo informate, dicevo, che una giovane donna con problemi psichiatrici conviveva da poche settimane con un ragazzo anch'esso con problemi, nel territorio della nostra parrocchia.

La suora è preoccupata e ci invita a cercarla e a prendere contatti con lei.
Uscendo dall'ospedale e tornando a casa, Mariella offre un passaggio in macchina ad una donna, scopre dopo pochi minuti che è la donna della quale ci aveva parlato la suora.
L'approccio è senza problemi: è la donna stessa che chiede di essere aiutata, stanno sistemando la già povera casa del ragazzo e hanno bisogno di tutto.
Nei giorni seguenti la donna, che chiameremo Sandra, viene in parrocchia diverse volte e una mattina confida a Mariella di essere incinta.
La informa anche che il bimbo vuole tenerlo e che ha smesso la terapia di ansiolitici e psicofarmaci che assumeva a causa della sua malattia.
Con Mariella l'accompagnamo in ospedale e l'incontro con il ginecologo è da shock: considerata la gravità delle patologie è meglio abortire!
Sandra rifiuta e noi la rassicuriamo: se vuole tenere il bimbo, potrà sempre contare sul nostro aiuto.
Iniziano cosi sette mesi di lavoro e impegno intenso: Sandra si rivela subito una persona malata, fragile con frequenti attacchi di panico, di giorno e di notte che sfibrano il suo compagno, i vicini di casa, i medici del pronto soccorso che lei chiama ripetutamente.
Solo i volontari del centro non mollano, anche se con ritmi stressanti e con orari assurdi sono sempre con lei per rassicurarla, consolarla, assisterla.
Si arriva cosi al quinto mese di gestazione.
Eravamo certe che, da quel periodo in poi, Sandra potesse prendere qualche calmante, ci eravamo messe in contatto con Il Telefono Rosso, una struttura del policlinico Gemelli di Roma che consiglia i farmaci che si possono assumere in gravidanza.
Ma una mattina, nel nostro solito giro in incognita troviamo Sandra, che era stata ricoverata nella notte, in lacrime in un lettino del reparto: non ce la fa più , ha deciso di interrompere la gravidanza e ha già firmato la condanna del suo bambino.
Restiamo in silenzio accanto a lei, non abbiamo più parole, cerchiamo solo di calmarla.
D'un tratto lei ci dice una frase che ci fa rizzare le orecchie: "Adesso mi addormentano, mi fanno il raschiamento e tutto sarà finito."
Tra le sue molteplici psicosi vi era quella del dolore fisico, per lei anche una puntura era un dramma.
Mariella aveva da poco conseguito il diploma di insegnante del metodo Billings e ben informata le risponde che non sarà così, le saranno dati dei farmaci per stimolare il parto, il bambino nascerà non con un cesareo e potrà anche nascere vivo e fatto morire senza dargli assistenza.
Sandra inizia ad urlare e a dire che non era stata informata di questo, un medico abortista arriva nella stanza è costretto a dirle la verità, nel frattempo ci accusa di incoraggiarla a portare avanti la gravidanza, siamo delle incoscienti perchè questa donna non sarà mai in grado di prendersi cura del figlio.
A quel punto Mariella dice: "Se non sarà capace lei ci sarà qualche altra mamma!" e aggiunge "Io ne ho quattro diventerà il quinto" e io "Io ne ho tre e diventerà il quarto!"
Il medico rimane di sasso, chiede per l'ultima volta a Sandra cosa vuole fare e lei risponde che non vuole uccidere il bambino vuole solo qualche calmante.
Su nostra iniziativa chiamiamo un medico del servizio psichiatrico che rassicura Sandra dicendole che certo che può prendere qualcosa, il bambino a quel punto della gestazione non avrà nessun danno.
Il medico abortista strappa con rabbia il certificato di morte del bimbo lanciandolo sul letto di Sandra.
Da quel momento le condizioni di Sandra non cambiano, purtroppo, cambiano però i medici del reparto di maternità: rifiutano i ricoveri frequenti che Sandra chiede perchè non sono problemi relativi al suo stato ma è malata psichiatrica, il reparto psichiatrico non la vuole ricoverare perchè è incinta..trascorrono cosi altri due mesi con ricoveri in strutture private e case-famiglia da dove però Sandra scappa di continuo.

Dopo un'ennesimo ricovero nell'ospedale del capoluogo di provincia, Sandra viene scaricata davanti al comune da un'autoambulanza: non la vuole nessuno!
Finalmente i servizi sociali dell'Asl che tante volte avevamo informato, ma avevano sempre scaricato sulle spalle dei volontari, prendono in mano la situazione (perchè costretti, diciamo noi) e Sandra viene ricoverata in una casa-famiglia che accoglie donne incinte con problemi di vario tipo.

Dopo due mesi, con parto cesareo nasce un bambino, sano e bello.

Appena nato la mamma pensa di darlo in adozione, lei è cosciente delle sue condizioni, ma le suore che l'avevano accolta le consigliano l'affido e lei a quel punto ci chiama e ci ricorda l'impegno preso quel giorno in ospedale quando il medico stracciò con rabbia il certificato per uccidere il bimbo.
Ci disse "Io desidero affidare il bambino ad una di voi due..".

Mariella aveva una bambina di due a anni e invece i mei erano più grandi, quindi dicemmo di accogliere noi il bimbo.

Passarono cinque mesi e mezzo dalla richiesta della mamma e il 13 marzo del 2000 Emmanuel entrò a far parte della nostra famiglia.

Per tre anni si fece di tutto affinchè i genitori, il papà l'aveva su nostro incoraggiamento riconosciuto, potessero avere una vita normale e riprendersi il bambino ma, nonostante una rete di aiuto non ci riuscirono e a quel punto il giudice lo dichiarò adottabile e io e mio marito (47 anni io e 57 lui), diventammo anche per la legge i genitori di Emmanuel perchè il giudice che seguiva la sua storia ci fece questo bellissimo dono di decidere che il bimbo restasse con noi (questo come sai non sempre è possibile).

Emmanuel conosce la sua storia, sa di una mamma che come dice lui "mi ha tenuto nel suo utero", è un bambino sensibile, intelligente, porta nel suo cuore la tristezza dei cinque mesi vissuti in casa-famiglia (5 mesi sono un'eternità per un neonato) ma oggi è tornato felice dalla festa con i compagni di scuola a conclusione del ciclo delle elementari e noi sogniamo per lui il più bel futuro.

Un giorno deciderà di andare a conoscere la mamma che lo ha generato e che, nonostante tutte le difficoltà che una società malata di morte le ha messo davanti ha deciso per la vita, a me che l'ho "generato nel cuore" il compito di preparargli questo incontro perchè purtroppo Sandra continua ad essere una persona molto malata, ma il Signore saprà come aiutarci.

Lucia e Mariella, volontarie di un centro di aiuto alla vita

venerdì 28 maggio 2010

Michaela

Ciao Maria,

oggi, ti racconto la vicenda di Michaela.

La troviamo nell'ultima stanzetta del reparto ostetricia.
Le donne che devono abortire arrivano presto il lunedi mattina e vengono sistemate in fondo al corridoio.
Prima trovi una fila di fiocchi azzurri e rosa, vasi di fiori freschi poi il nulla ed è qui che il pianto di una ragazza giovanissima ci guida un lunedì mattina, quando ci facevano entrare nel reparto al di fuori degli orari di visita.

Ci colpisce il suo viso candido e due occhi azzurrissimi pieni di lacrime, è straniera ma riusciamo a farci capire e a capire: stamattina ucciderà il suo bambino perchè lei e il suo ragazzo non possono tenerlo: lavorano in un ristorante distante una trentina di chilometri, ospitati dal proprietario in un locale angusto, perderebbero lavoro e casa..no, questo bambino non può venire al mondo ora. Lei non vorrebbe, ma il suo ragazzo non l'ha fermata quando si è recata in ospedale, lei avrebbe voluto che lui l'avesse fatto.

E piange senza fermarsi mai, Michaela.

Le offriamo il nostro aiuto, senza condizioni, le troveremo una casa, un lavoro, tutto quello che serve per poter salvare questo bambino. Ci dice che deve essere convinto il suo ragazzo.

A questo punto non ci resta che andare sul posto di lavoro dei due giovani, ma abbiamo bisogno di tempo, avvisiamo perciò il medico che deve fare l'intervento abortivo, lo mettiamo al corrente della decisione della giovane e del nostro tentativo: ci dà un'ora di tempo.

In macchina, senza guardare limiti e segnali, corriamo,corriamo..(nei mesi successivi arriverà pure la multa per eccesso di velocità), è quasi in montagna questo ristorante tipico ma lo troviamo e il ragazzo è li: ci fa tenerezza è anche più ragazzino della sua compagna, ma si convince, si, se troviamo una casa e li aiutiamo il bambino lo tengono. Presto, presto, qui c'è campo...presto presto mi passi il reparto ginecologia... presto presto mi passi il dottor...e l'infermiera: "l'intervento è stato già fatto, non vi potevamo aspettare servivano le sale operatorie..."

Siamo ritornate in reparto per piangere con Michaela e non le abbiamo detto subito che eravamo riuscite a convincere il compagno, lo ha scoperto dopo e le sue lacrime si sono asciugate in un deserto d'amarezza.


Dopo questo episodio alle volontarie del centro di aiuto alla vita non è stato permesso più di entrare nel reparto al di fuori degli orari di visita e anche in questi orari la stanza in fondo al corridoio veniva guardata a vista dalle infermiere.
Lucia

P.S oggi la tv ci informa che il parlamento ha approvato una legge ingiusta,che toglie la libertà di stampa..non mi tocca più di tanto,in Italia c'è una legge ed è la 194 che uccide i bambini nel grembo materno;approvata questa legge tutte le leggi possono essere giuste.




Minuscole vite

Quando gli scienziati si chiedono se su Marte ci sia vita, non intendono organismi complessi ed evoluti, ma cose come batteri o forme di vita più piccole e semplici.

Ci sono vite che sono ancora più piccole di un puntino, ma nessuno ha dubbi sul fatto che siano organismi viventi.
Oggi gli studiosi si chiedono persino se un virus sia vita.

Con questi presupposti, quello che ci chiediamo é come si fa a dire che un embrione non é vita.

Già un ovulo fecondato, prima di attecchire, invia segnali al corpo che lo ospiterà dando informazioni su se stesso.

L'organismo adulto risponde a questi segnali e ne invia a sua volta.

Dopo questa prima forma di comunicazione, l'organismo consentirà o meno all'ovulo di attecchire.

In questo senso ogni giorno le donne vivono dei microaborti spontanei senza neanche rendersene conto perchè spesso il nostro corpo non ritiene l'ovulo idoneo e non gli consente di svilupparsi.

Ora se un organismo riesce a comunicare con un altro inviando segnali ormonali al corpo che dovrà ospitarlo con i quali da informazioni su se stesso, come si può dire che lì non c'é vita?
E' una minuscola vita umana.
E quanto più dopo l'attecchimento deve essere considerata e rispettata la vita di un esserino minuscolo che però cerca di sfuggire alla morte?

Sono gli stessi abortisti a dire che per interrompere la gravidanza la prima cosa da fare é uccidere l'embrione.

Se bisogna uccidere, come si fa a dire che non c'é vita?

Ma purtroppo, come molte altre cose, l'interruzione di gravidanza é stata banalizzata e spesso, con false certificazioni, si ricorre ad essa oltre i termini stabiliti dalla legge perché si vuole un bambino di sesso diverso o perché il feto é affetto da difetti curabilissimi come il labbro leporino.

Sono i medici stessi a dire che la maggior parte degli aborti terapeutici si eseguono con feti sani.

E un feto su trenta sopravvive all'aborto anche dopo parecchie ore.

Nessuno é stato adulto senza essere stato un embrione. Non é moralismo, é una questione tutta laica, é logica.

L'unica differenza tra noi e gli embrioni e i feti é che loro non si possono difendere.

Più mi documento, più mi convinco che l'aborto sia solo uno strumento utilizzato per controllare l'incremento demografico per potere continuare a sfruttare male le risorse come si sta facendo perchè alcuni si possano arricchire.

E' progresso questo?
La nostra speranza é che chi ci succederà sarà più saggio di noi.

Grazie a Dio, non tutto ciò che é stato chiamato progresso lo é diventato.

venerdì 21 maggio 2010

Lucia


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La storia che state per leggere é realmente accaduta. E' il racconto di un aborto e di un percorso di fede.

Credo che le origini di tutto siano da ricercare nelle incomprensioni tra la protagonista del racconto e i suoi genitori.
E' anche vero però che riflettendo sulle circostanze che viviamo, spesso sembra che nulla accada per caso, ma che tutto sia stato programmato e pianificato e così anche ciò che ha generato tanto male, può portare del bene e può essere di aiuto ad altri.

La donna che ha vissuto il dramma di questo aborto, ha avvertito di essere sprofondata in un abisso dal quale é riuscita a risollevarsi inaspettatamente, solo grazie alla fede.
Questa é la storia che mi é stata inviata da Lucia, ognuno di noi é libero di credere ciò che vuole e di interpretarla come crede.

Ho deciso di pubblicarla perchè mi sembra sintomatica di come il nostro inconscio percepisca, conservi ed elabori alcune esperienze che all'apparenza pensiamo di avere vissuto in maniera superficiale.
La pubblico anche perchè é desiderio di chi l'ha scritta essere di aiuto per chi si trova a un bivio.

Sono qui a raccontarvi la mia storia perchè la mia esperienza possa essere di aiuto a chi si trova davanti a questa scelta.
Comincio il racconto parlando delle origini di ciò che mi ha portata nell'abisso.
Ero separata da poco, un matrimonio sbagliato fin dall'inizio, pieno di silenzi e di solitudine interiore.
La brutta morte di mio fratello aveva ingigantito la distanza abissale che sentivo nel rapporto con i miei genitori e i miei fratelli, soprattutto con mia madre.
Quella morte mi aveva portata a un matrimonio tanto per fare la brava ragazza, ma questo è un altro capitolo...insomma io ero la pecora nera in tutti i sensi, ovvero così mi sentivo, sebbene prima di allora avessi fatto parte dei gruppi giovanili della parrocchia e fossi stata la solista del coro parrocchiale.
Tanti errori e tante sofferenze.
Oggi so che, a modo mio, cercavo pace lontana da quel Dio che con il tempo, credevo mi avesse abbandonata.
Nessuno mi aveva spiegato che solo la pace in Dio mi avrebbe guidata, credevo che senza le mie forze non avrei mai trovato la felicità e così la ricercavo affannosamente, proprio come il figliol prodigo.
Dopo la separazione incontrai un uomo.
Pensavo di poter ricominciare, di poter avere quella stabilità affettiva che bramavo per me e per i miei due figli avuti da quel matrimonio disfatto.
Credevo che sarei riuscita ad avere quella famiglia che mi mancava tanto, da sempre.
Rimasi subito incinta e per me fu un'ulteriore tragedia, mentre dovevo porre rimedio a molte altre. E poi, cosa avrebbe detto la gente? Cosa avrebbero detto i miei familiari che già mi accusavano tanto?
Non potevo avere un altro figlio trovandomi in una situazione così instabile, non potevo essere madre di un terzo bambino, i due che avevo già sembravano già tanto tristi.
Avevo anche mille problemi con il lavoro e per me era un peso dovermi appoggiare alla mia famiglia persino nelle piccole cose.
Non vedevo alternativa.
Quell'uomo faceva già tanto, era una storia nata da poco, ancora piena di incognite.
Non conoscevo Dio, cercavo onori e vita libera, sebbene mi fossi già scontrata con le prime delusioni.
Forse, nel profondo del cuore, avevo nostalgia di quando da ragazza frequentavo la chiesa e cantavo, durante i matrimoni, ma allo stesso tempo il mio orgoglio era ferito ed ero diventata presuntuosa.
Credevo che ormai Dio fosse lontano da me, pensavo di non avere più il diritto di stare nella chiesa.
La mia vita aveva preso una piega completamente diversa da quanto immaginavo.
Quando capii di essere incinta, sentii il peso dell'errore, sembrava che davanti a me ci fosse un abisso più grande.
Quel bambino che cresceva in me giorno dopo giorno, mi dava angoscia.
Immaginavo di dare la notizia a chi mi avrebbe guardata come una pazza eretica.
Così, appoggiata da quel compagno che in fondo era spaventato quanto me, senza farne parola con altri, presi la decisione di abortire.
Chiaramente mi rivolsi subito dove sapevo che non avrei trovato ostacoli.
Mi feci visitare con la ferma risoluzione che avrei risolto tutto nel silenzio, senza che nessuno sapesse, depositando e lasciando nel dimenticatoio quel pacco scomodo.
Così, nella piena solitudine, arrivai nel reparto dell'ospedale una mattina del settembre del '95.
Nessuno mi chiese niente..nessuno mi rivolse la parola.
Sembrava tutto normale, tutto si svolse in modo freddo e meccanico, come se si dovesse svolgere un dovere, un fardello da togliersi di dosso...non ricordo un viso, un sorriso, un'immagine che mi potesse rimanere impressa.
Ricordo solo la freddezza della stanza dell'ospedale e il mio desiderio di andarmene al più presto da lì..non ho voluto sapere niente...non mi ero informata di niente, sapevo solo che, uscita di lì, il problema era risolto.
Non sentivo nulla dentro, se non il desiderio di liberarmi di una colpa che nessuno avrebbe perdonato.
Questo è stato quel figlio che avevo in grembo.
Tutto successe nel silenzio e nessuno ha mai saputo il mio segreto.
Ogni tanto pensavo a come sarebbe potuto essere quel bambino..mi vedevo con lui vicino...lo immaginavo, ma cancellavo subito il pensiero e tenevo tutto dentro, senza nessuna sofferenza.
Sentivo che era stato più giusto abortire che tenere un bambino che tutti mi avrebbero fatto pesare. Avevo scelto quello che per me era il male minore.
Dopo qualche anno iniziai ad avere problemi di salute.
La mia fu un'agonia durata quattro interventi per un fibroma persistente.
Credo che i dolori che ho avuto per un paio di anni, siano stati più atroci di un parto...ad ogni ciclo mestruale, mi dicevo "cosa devo partorire?".
E poi rimasi ancora una volta sola quando, per via di vorticosi problemi, finì anche la storia con quel compagno.
Ancora sola mentre i problemi con il lavoro si ingigantivano e la realizzazione di me stessa sembrava sempre più lontana, persino come donna e come madre.
Se avessi saputo che qualcuno avrebbe amato i miei figli, avrei tentato il suicidio.
Sentivo il vuoto dentro e ad ogni istante lo stimolo di farla finita, poi il pensiero di lasciare soli i miei figli, mi fermava.
La mia famiglia per me era già un corpo estraneo, lontano, avevo addossato loro tutte le colpe di avermi abbandonata a me stessa e nello stesso tempo l'orgoglio ferito mi impediva di chiedere aiuto.
Ho sopportato tutto con molta fatica, nel vuoto del mio cuore, solo per l'amore che ho per i miei figli e per l'idea che nessuno li avrebbe amati come li amo io.
Con loro però ero fredda, vuota, perchè non potevo dare loro quella felicità che meritavano.
E dentro di me cresceva la rabbia perchè non potevo essere la mamma dolce ed affettuosa che avrei voluto essere.
Fare la mamma era la mia massima aspirazione e invece ero arrivata a rifiutare la vita!
Non mi rendevo conto di niente..tutto era colpa degli altri, di chi non aveva capito, di chi non mi aveva amato..non perdonavo, avevo il cuore pieno di rabbia e di disperazione.
Mi affannavo alla ricerca di una via d'uscita...intanto anche mia figlia, all'età di sedici anni, mi lasciò per andare a vivere con il padre.
Avevo deluso mia figlia senza sapere quale fosse la mia colpa.
Avevo deluso la parte di me che voleva essere di esempio a mia figlia, perchè lei un giorno potesse essere una donna e una mamma felice.
Rimasi sola con mio figlio che già scivolava nell'abisso della tossicodipendenza.
Ancora una volta dovevo trovare soluzioni ed ero già stanca già di vivere.
E intanto continuavo a dare la colpa a tutto e a tutti, ma soprattutto alla mia ingenuità per aver accettato passivamente tante situazioni che mi avevano portato nell'abisso, ma mai pensavo che la mia colpa fosse stato l'aborto, non ci pensavo più.
Mi vergognavo persino di ciò che non ero stata capace di essere, di tanti sogni che non ero stata capace di realizzare.
Così quando ho avuto la certezza che mio figlio fumava spinelli, ho avuto il vuoto davanti.
Era finito tutto, ogni cosa sembrava senza speranza.
L'unica gioia era il ritorno di mia figlia avvenuto qualche mese prima.
Sapevo però che anche in lei era già calata la sofferenza.
Insomma, soffrivo io e avevo messo anche i miei figli nella sofferenza.
Ma da mesi una voce mi parlava dentro e così, combattuta, mi rivolsi a quel Dio che oramai credevo mi avesse abbandonata..
Gli dissi "io non posso fare più niente, mio Dio fai Tu qualcosa".
Inaspettatamente trovai la soluzione. Mio figlio iniziò a frequentare una comunità religiosa che lo avrebbe aiutato a uscire dalla droga e io intrapresi un cammino di fede parallelo.
Dopo un pò sentii il bisogno di ammettere e confessare il mio peccato: l'aborto.
Ammisi che l'aborto era una colpa sicuramente grave, ma non quella che aveva procurato ancora tanto male nella mia vita.
Cominciai a ritrovare la gioia nelle persone che facevano il percorso con me e a riconoscere questo Dio che mi amava.
Fra tante ribellioni e lacrime, ripercorsi le mie colpe e le mie sofferenze e sentii il desiderio di demolire la mia presunzione e il mio orgoglio ferito, seppur questo mi facesse male.
Dopo pochi mesi, mi trovai a pregare in chiesa.
Senza sapere perchè, piangevo a dirotto mentre tutti pregavano e non capivo perchè...quei giorni stavo aiutando un ragazzo ad entrare in comunità e mentre piangevo mi dicevo "Ho già ripartorito mio figlio, chi devo ripartorire ancora? Perchè questo ragazzo devo ripartorirlo io?"
Era un pensiero fisso. All'improvviso mi venne in mente lui, il mio bambino morto, come se avesse bussato così forte al mio cuore dicendomi "mamma, ci sono io!"
Ammettere la colpa nei confronti di quel figlio, mi fece sentire sollevata.
Entrai in un percorso di guarigione spirituale che mi faceva sentire la necessità di quella verità che rende liberi.
Sentivo dirompente che dovevo scendere fino in fondo e liberarmi di questo fardello e così oggi mi trovo a dire ciò che ho vissuto.
Oggi credo che tutto sia avvenuto per via di quell'errore con il quale io ho dato la sterzata finale ad una vita già lontana da Dio.
Una mamma porta la vita e non può rifiutarla.
Quando rifiuta la vita, può solo morire dentro e trascinare nella morte tutto ciò che la circonda.
Mio figlio non é morto invano, oggi posso nella verità con me stessa, testimoniare questa esperienza e dare speranza ad altre donne che hanno vissuto inconsapevoli, questo dramma.
Ora so che la Resurrezione è cosa per tutti, se vogliamo sentire Dio nel cuore.
Se credi anche solo minimamente che ci sia una forza suprema che genera vita, devi essere gioiosa di essere stata chiamata ad esserne strumento...essere strumento della morte, significa accettare che la morte ha già operato nel tuo cuore, prima ancora di fartela vedere poi nel concreto.
Ma la cosa peggiore, è che allontani la vita da te stessa e da ciò che hai generato.
Dico a quelle donne che hanno vissuto la mia esperienza, che possono risorgere a nuova vita, se vogliono provare a svuotare la loro botte piena, davanti a Dio che è Padre...dico a quelle donne che stanno per decidere di abortire, pensateci, perchè finirete in un vortice di vuoto e solitudine.
L'aborto può solo operare altro male.
La donna ha avuto il grande dono da Dio, di generare la vita e se rifiuta questo dono, può generare solo morte.
Grazie
Lucia

lunedì 19 aprile 2010

Riporto anche qui un commento che riguarda il mio libro e che ho postato su Anobii:

"Ho notato che alcuni punti del racconto sono stati travisati o poco compresi, per cui spero di non annoiarvi se inserisco qualche chiarimento. ^_^

Capisco che qualcosa sia potuto sfuggire a chi non è stato appassionato dalla storia. :)

Innanzitutto, non mi sembra di avere mai scritto che le donne nn debbanno lavorare, ma solo che la nostra società costringe le donne a farlo.
Pensavo quindi alla tutela dei diritti della donna e della famiglia. ;)

Chi, donna o uomo, vuole prendersi cura della propria famiglia, ha la stessa dignità di chi vuole lavorare fuori e ritengo che debba essere tutelato e assistito dallo Stato perché svolge un servizio, dato che la famiglia è la prima cellula della società e se è sana, tutta la società è sana.

Inoltre, quando la donna è costretta ad abortire perché non può mettere al mondo un figlio perché non riuscirebbe ad allevarlo con le sue risorse economiche, il suo diritto, la sua dignità di donna, non son tutelati.

Per tornare al racconto, la protagonista, Francesca, non si innamora del pittore.
La sua è solo un'infatuazione, semplice attrazione fisica (in quel punto del racconto c'è una specie di monologo interiore "ma quello non era amore?" era quello che lei pensava, ma si accorge subito che non è così perchè i due erano talmente diversi da potere provare solo altri tipi di sentimenti).

Il personaggio di Samuel è invece volutamente marginale e poco sviluppato per una mia decisione.
Capisco che i lettori avrebbero preferito un'esposizione differente. :)

Per quello che riguarda l'ambiente di cui si parla nel racconto, è difficile forse fare comprendere e descrivere a chi cresce in contesti tanto differenti, una società che sta cambiando e dove eccessi di modernità e tradizione convivono e si scontrano.

In ogni caso, nell'ambiente in cui Francesca è cresciuta (un piccolo paese, pochi abitanti) è naturale affezionarsi, provare o pensare di provare sentimenti forti o esagerati soprattutto quando si vive fianco a fianco per qualche mese con una persona "diversa", portatrice di un'altra mentalità, di altri valori, lo si ammira e certe cose possono succedere spontaneamente, come possono accadere a chiunque, in un momento di debolezza.
Può succedere soprattutto a chi si sente costretto all'interno di un certo contesto culturale.

In ogni caso io continuo a sostenere che la realtà ci propone situazioni e individui che superano ampiamente la nostra immaginazione.

Il diritto del padre è uno dei punti opinabili del racconto, ma io ritengo che la donna non sia l'unica artefice della vita e che troppo spesso il diritto dell'uomo venga calpestato.
Ce lo dimostrano diversi fatti di cronaca e storie vere raccontate in altri libri e siti.

Personalmente mi sento discriminata quando si parla di "diritti delle donne" e preferirei che si parlasse di diritti umani.

Ma qui si potrebbe discutere ampiamente, dipende tutto dalla nostra concezione del diritto e dalla visione che abbiamo.

Sappiamo che ognuno di noi ha una visione parziale della realtà e fortemente condizionata dalle proprie esperienze e dalle situazioni vissute.

Spero di avere chiarito meglio il mio pensiero. :)"

giovedì 8 aprile 2010

I più fortunati nascono in Norvegia

Sembra che i paesi dove si vive meglio siano quelli dove si rispetta di più la legge.

I norvegesi non solo nutrono un elevato rispetto per le loro leggi, ma considerano i bambini una risorsa da proteggere e su cui investire.

Sembra che questi siano i maggiori punti di forza di questo paese e la Norvegia riesce così ad essere il paese dove si vive meglio al mondo.

Il paese dove si vive peggio invece, è la Nigeria.

sabato 3 aprile 2010

Aborto: un diritto o un grande business?

Circa quindici anni fa, c'erano diversi medici che utilizzavano cure alternative per curare il cancro.

Ricordo in particolare uno di loro che lavorava presso l'università di Messina e che, avendo osservato che il cancro è praticamente assente nei soggetti allergici, curava i suoi pazienti con l'istamina.

Sosteneva che la sua cura fosse efficace, ma che non c'era interesse a studiarla perchè la chemioterapia è molto costosa mentre il prezzo dell'istamina è insignificante.

In seguito arrivarono alcuni ricercatori dall'estero per valutare l'efficacia della cura di questo medico, ma trovarono che non aveva alcun fondamento scientifico.

Non ho gli strumenti, né la competenza per valutare quanto le parti sostenevano, e non voglio invitare nessuno ad affidarsi a incerte cure alternative dietro le quali spesso si nascondono dei truffatori.

E' innegabile però che dietro l'uso dei medicinali ci sia un grande business.

Ad esempio, so che in Italia continuano a essere di uso comune farmaci, come l'Aulin, che in Spagna e in Finlandia, ad esempio, sono stati proibiti e che alcune normative europee hanno indicato come prescrivibili solo in caso di effettiva necessità e dopo che gli altri farmaci si sono rivelati inefficaci.


Non è chiaro perché prodotti proibiti altrove perché a lungo andare provocano danni al fegato, siano ancora così utilizzati in Italia.

Ma anche all'estero gli interessi si celano bene.

Ricordo anche che quando mi trovavo a Bruxelles, ad ogni angolo veniva pubblicizzata la pillola abortiva utilizzando lo slogan: "L'aborto è un diritto".

Da quando ho parlato di pillola abortiva su questo blog poi, "l'importanza" dei visitatori - per così dire e senza volere assolutamente sminuire gli altri - è improvvisamente aumentata.

Dato che purtroppo c'è gente che non si fa scrupolo di arricchirsi ai danni di altri, e in America e non solo, ci sono molte cliniche specializzate proprio nell'interruzione di gravidanza, mi chiedo se l'aborto sia più un diritto o un grande business e quali interessi si celino dietro le informazioni che vengono diffuse o nascoste alla gente.

venerdì 2 aprile 2010

Bibbia o Traduzione del nuovo mondo?



martedì 30 marzo 2010

Parliamo di Lady Oscar

Deludendo le aspettative di chi ama leggere argomenti "seriosi", oggi ci dedichiamo alla figura di Lady Oscar.

Sì, proprio a lei che ci ha fatto amare la rivoluzione francese e la corte di Versailles e che ha reso le nostre notti insonni con il suo enigma, mentre la stessa Ikeda sosteneva che fosse un personaggio inventato.

Ma nessuno di noi ha gettato la spugna e abbiamo continuato a cercare e cercare, tormentando i nostri insegnanti, sfogliando enciclopedie e poi su internet.

Invano, fino a quando...

Come leggiamo su Wikipedia, "sembra che la famiglia Jarjayes sia realmente esistita, per il padre di Oscar l'Ikeda si ispirò a un personaggio realmente vissuto: François Augustin Reynier Pélisson de Jarjayes, generale monarchico francese, di nobile casata dell'ancien régime, vissuto fra il 2 ottobre 1745 e l'11 settembre 1822.
Il vero generale, come il personaggio del cartone, era sposato con una dama di compagnia della regina e, insieme alla moglie, fu uno dei pochi a mantenersi fedele a Maria Antonietta anche nei momenti più difficili.
È ricordato in ogni biografia della Regina per il suo tentativo di salvarla dalla ghigliottina pur a rischio della propria vita", di lui parla anche la Fraser.
Nella realtà storica il generale de Jarjayes ebbe tre figlie e un figlio maschio.

Niente da fare quindi.

Ma qualche settimana fa mi sono imbattuta nella lettura di un romanzo storico di Cristina Contilli "Alain e Juliette" e tutto mi aspettavo tranne quella scoperta.

Dopo aver terminato la lettura, mi sono soffermata sulla bibliografia e sui ritratti delle ultime pagine e non immaginate lo stupore quando mi sono ritrovata davanti al ritratto accanto
, quello di Christine Leydet De Fos-Briançon-Jarjayes (1755-1816).

In "Amore e Rivoluzione" della stessa scrittrice ci sono anche delle schede dedicate alle donne nell'esercito francese con ritratti e biografie e
consiglio la consultazione di quel libro a chi cerca informazioni più dettagliate.

Ecco invece la scheda dedicata a Christine dalla quale ho attinto anche per i ritratti:
Christine Leydet De Fos-Briançon-Jarjayes (1755-1816) Capitano di vascello della Marina francese prima della rivoluzione, passata nel 1788, per problemi di salute alla Garde Française e poi divenuta colonnello della Guardia Nazionale nel periodo 1789-1792, rimandata in Marina nel 1793, perché la maggior parte degli ufficiali, provenienti dalla nobiltà aveva disertato, fuggendo all'estero, divenuta nel 1804 direttrice dell'ècole des constructiones navales di Parigi, la cui carriera finisce, come quella di tutte le altre donne, con la caduta di Napoleone. Si sposa nel 1789 con l’ex tenente della Garde Française André Jacob Elié, che nel 1789 aveva partecipato insieme a Pierre Augustin Hulin alla presa della Bastiglia.

Chi conosce l'anime noterà subito le affinità tra i ritratti, la scheda e gli eventi narrati dall'Ikeda.

Per me rimane ancora un mistero quali siano i legami tra Christine e la famiglia
Jarjayes, ma ritengo che il grosso del personaggio sia incentrato su Christine, la cui storia è stata romanzata con vicende che riguardavano altre persone e che puntualmente ritroverete nelle schede di "Amore e Rivoluzione".

Enigma in parte risolto.





giovedì 4 marzo 2010

Una serie di sfortunate circostanze

All'inizio degli anni ottanta, frequentavo le scuole elementari.

A scuotere la mia infanzia, e ancora di più quella di alcuni compagni, una serie interminabile di malattie e di lutti.

Quello che provo oggi ripensando a quel periodo è ancora un profondo dolore.

Il primo a mancare fu il fratellino di un mio compagno di classe che morì di tumore a pochi anni quando io frequentavo la prima elementare.

Seguirono - sempre a causa del cancro - il marito della mia maestra, la sorellina di un altro compagno e la madre di una ragazzina bellissima che lasciò lei e una figlia di sedici anni.

Ricordo che viaggiava continuamente verso la Francia per curare la leucemia e tornava portando dolci per le sue bambine.
Ma anche lei mancò presto.

Poi fu il turno di un mio compagno, un ragazzino con gli occhi azzurri e i capelli ricci e neri, sveglio e bravissimo in matematica, pieno di voglia di vivere.
Lottò fino a undici anni contro la sua malattia. Invano.

Gente semplice, famiglie di lavoratori che hanno speso i loro sacrifici in cure inutili, madri coraggiose segnate da lutti terribili, compagni, amici, vicini di casa.
E tutto questo avvenne in pochi anni.

Una volta pensavo che la nostra fosse stata una classe sfortunata, segnata da qualche strana maledizione.
Oggi credo sempre meno al caso e sempre più che l'uguaglianza e la giustizia non esistono a questo mondo e che alcuni si arricchiscono a spese di altri.
Ma queste non sono neanche novità.

Solo qualche anno fa ho visto un bambino bellissimo morire di leucemia, poi dei padri, adesso so di un ragazzo di vent'anni che lotta e chissà quanti altri.

Ma si dice che tutto vada bene e che dobbiamo essere ottimisti.
Eppure, anche se è giusto essere ottimisti, non possiamo negare che non tutto va bene e che bisogna fare qualcosa.

In fondo non vale la pena vivere solo per arricchirsi e per spendere in divertimenti.
L'esistenza è degna di essere vissuta solo se si combatte per un giusto ideale.


Forse, per prevenire tanto dolore, dovremmo iniziare a rivendicare il diritto di vivere in un mondo ripulito dai rifiuti di chi crede di potere giocare impunemente con la natura e con la vita degli altri, senza pensare di potere innescare meccanismi nei quali prima o poi si viene coinvolti.

Ma questa gente, accecata dalla bramosia di guadagno, non riesce a rendersi conto che potrebbe rimanere vittima delle proprie azioni.

L'acqua evapora e le nuvole la portano lontano e poi ricade sui campi che producono la frutta che arriva nei nostri piatti, viene portata alle nostre abitazioni, con il suo carico di veleni.

E' interesse di tutti, proprio di tutti, che il pianeta sia pulito.

mercoledì 3 marzo 2010

Interessanti rivelazioni di Gianni Lannes

La televisione e gli editori stanno negando spazio a Gianni Lannes che ha scoperto casualmente che il traffico di scorie nucleari nel Mediterraneo continua sotto i nostri occhi.

Sembra che tutto sia iniziato nel 1974 e che colpevoli siano stati tutti i governi italiani insieme a Montedison, Enel, Eni e altri grandi colossi.

Carichi di scorie nucleari sono stati affondati fino a venti miglia dalle coste calabresi proprio perché sui fondali c'erano già diversi relitti risalenti alla seconda guerra mondiale.

Tutto è stato insabbiato, le informazioni sono state occultate, ma quello che è peggio è che sembra che il traffico continui ancora.

Gianni Lannes è entrato in una centrale nucleare - senza autorizzazioni e senza che nessun servizio di sicurezza lo fermasse e lo identificasse - e ha seguito il "viaggio delle scorie" che finiscono tutt'oggi in mano a un'azienda ligure gestita dalla criminalità, a La Spezia, in attesa di essere caricate e affondate in mare.

E intanto nascono bambini con gravi malformazioni, si propagano i tumori, e l'umanità dovrà fare i conti per millenni con questo tipo di inquinamento che non può fermarsi in fondo al mare.

Ecco un video in cui Gianni Lannes espone quanto ha scoperto:

http://www.youtube.com/watch?v=XdvB9BDy7Kc

Linkando questo video, noi abbiamo deciso di sostenere lui e chi come lui, non teme di esporsi per salvaguardare i diritti di chi non detiene il potere.

domenica 28 febbraio 2010

Cenni agli studi scientifici sul paranormale

In passato, gli eventi paranormali rientravano tra i fenomeni studiati normalmente dalla scienza.

Sembra che molti studiosi si siano avvicinati alla descrizione e allo studio di eventi paranormali solo dopo avere vissuto delle esperienze inspiegabili.

A questi studi ha dato un contributo importante lo psichiatra americano Ian Stevenson .
Questi, dopo avere esaminato un numero considerevole di casi, si convinse dell'esistenza del paranormale e scrisse diversi libri sulla materia, descrivendo i casi studiati ed esponendo il suo approccio scientifico.

Paranormali, dice Stevenson, sono i "fenomeni che sono ancora poco compresi ma che innegabilmente esistono."
E aggiunge che gli eventi di tale tipo sono solo fatti che non si riescono a spiegare per mezzo di alcun processo sensoriale o muscolare.

Interessanti sono anche le descrizioni dei casi osservati e i dettagli che riporta nei suoi libri.

Stevenson si convinse anche che nell'infinità delle combinazioni genetiche possibili, alla base dell'esistenza di ognuno di noi deve esserci assolutamente qualcosa che guida la combinazione dei geni.

Oggi la scienza considera gli studi di Stevenson "non scientifici", ma intanto altri scienziati si stanno interessando allo studio di fenomeni paranormali come la xenoglossia e la telepatia.

Sheldrake ad esempio, sostiene che il nostro cervello sia solo un organo che utilizziamo per metterci in contatto con qualcos'altro.

Se alcuni eventi sono stati verificati e sono stati vissuti da persone che hanno dato il loro indiscutibile contributo all'umanità e che li hanno appuntati con cura,
come ha riportato Stevenson, forse ci sono fatti che meriterebbero maggiore attenzione da parte degli scienziati.

Ciò che esiste potrebbe essere infinitamente più di ciò che conosciamo e ciò che vediamo potrebbe essere solo una parte di ciò che esiste e
la scienza dovrebbe tenerne conto.

lunedì 22 febbraio 2010

Finalmente oscurato su Facebook il gruppo "Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini Down"

Chi, come noi, è stato abituato ed educato a convivere con chi soffre e a prendersi cura degli altri - che siano stati i figli delle sorelle, i nonni, i vicini disagiati - rimane a dir poco sconcertato leggendo che qualcuno abbia solo potuto cullare quella che non mi sembra corretto definire un'idea.

Eppure il gruppo "
Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini Down", contava più di duemila iscritti ed era popolato dai commenti sgrammaticati di persone che sostenevano che chi soffre della sindrome di Down è solo un peso e un costo per la società e che i bambini Down andrebbero necessariamente abortiti.

Gli autori invece si celavano dietro due nickname.

Il nascondersi dietro dei nick e il fatto di non essere in grado di scrivere correttamente in italiano, rendono perfettamente l'idea del tipo di persone che ha militato in questo gruppo.

Eppure ricordo nitidamente persone che avevano smesso di studiare dopo i primi anni alle scuole elementari che però erano dotate di un'umanità fuori dal comune.

Mi chiedo allora quale sia il messaggio che è stato dato a chi ha creato e a chi ha aderito a questo gruppo e in quali contesti sia stato ricevuto.

E' lo stesso messaggio che è stato trasmesso ai fautori dell'eutanasia, anche quando il malato è deciso a lottare, o dell'aborto "per le vacanze", come ha spiegato tempo fa un medico.
Il messaggio che "non si lotta, non si cura, ma si sopprime", magari per passare un fine settimana spensierato.

Affermazioni come quelle che ho letto sul gruppo di cui parlo sopra, mi fanno pensare a una fetta di società che è stata abituata ad essere irresponsabile, abituata a curarsi solo del proprio divertimento.

Ma quanto deboli sono le persone che non lottano, che non si confrontano con chi sembra più disagiato, quanto è superficiale chi ha fatto del divertimento l'unica ragione di vita.

A prescindere dal fatto che siamo sani o "non normali" abbiamo tutti la stessa dignità e lo stesso diritto di vivere una vita dignitosa.
Non sono i bambini Down a non dovere nascere, non sono i malati a non dovere esistere, né tutti coloro che non sono accettati perchè diversi.

E' la società che deve cambiare.

La società deve imparare a confrontarsi con quella che ritiene diversità, deve dare pari possibilità a tutti, deve imparare a fare fronte alle esigenze di chi è più disagiato e soprattutto deve abituare al rispetto degli altri per quanto diversi essi siano.

Dietro quanti nomi importanti di artisti, scienziati, umanisti, filosofi, pittori, scultori, che con le loro opere hanno reso grande l'umanità, c'era un handicap.
Toulouse-Lautrec era affetto da nanismo.

E quando Bach, Beethoven, acquisirono gravi handicap, non smisero di lottare, ma continuarono a produrre grandi opere.

La vera forza di un essere umano non si misura dalla volontà di emarginare o addirittura di sopprimere il "diverso", ma sta nel saper trovare il modo di confrontarsi e imparare qualcosa da chi è nato con un handicap che spesso possiede delle capacità che noi "normali" non abbiamo.

La diversità è costruttiva.

Gruppi come quello di Facebook sono il frutto di una fetta di società disinformata che sembra non volere prendere atto della diversità, adeguarsi ad essa e rispettarla.

venerdì 12 febbraio 2010

Un futuro fosco

Tempo fa ho assistito a una situazione che mi è sembrata emblematica del nostro tempo: trentenni da una parte, sessantenni dall'altra.

I sessantenni discutevano e proponevano, i trentenni tacevano e sembravano non avevare nulla da replicare.
Uno solo dimostrava di provare rancore verso quella generazione che, a suo dire, ha creato un futuro fosco.

Ora è naturale che a periodi di forte espansione si alternino periodi di recessione, ma vale la pena di fare alcune considerazioni.
Innanzitutto, se viviamo in una società più libera e più ricca, dobbiamo qualcosa ai nostri genitori che hanno posto delle nuove questioni, esasperando però alcune idee e rigettandone completamente altre.
Ma la vecchia generazione ha anche creato delle correnti di pensiero che hanno incancrenito la società.
E quali sono le alternative proposte da chi oggi ha tra i trenta e i quarant'anni?
Hanno detto che tutto è relativo e che nel rispetto degli altri tutto è lecito.
Molti ricorderanno che, seguendo questa corrente di pensiero, alcuni hanno commesso efferati omicidi, proprio perchè la vittima era d'accordo.
E' indiscutibile che ci siano verità relative, ma esistono verità assolute, pilastri che si chiamano bene e male.
Hanno detto che Dio è solo una favola che l'uomo ha inventato per alleggerire l'esistenza e che le storie raccontate dalle varie religioni sono solo delle leggende, ma non si può vivere pensando che la vita avrà come fine il buio, l'uomo non può rimanere vuoto e senza speranza e l'universo è troppo immenso e troppo perfetto perchè Dio non esista.
Ci hanno detto che la famiglia è un'istituzione da superare e noi non siamo riusciti a controbattere che è il primo nucleo della società e che se è sana, tutta la società è sana.
Hanno detto che il lavoro doveva essere messo al primo posto e molti hanno rinunciato ai figli e a una nuova famiglia per costruire una carriera, ma che ne è stato di chi ha rinunciato agli affetti e non è riuscito a costruire una situazione economica più serena o di chi pur avendo una carriera brillante, sente un vuoto incolmabile che è dovuto alla carenza di affetti sinceri?
Non avremmo potuto fare carriera accettando dei nuovi affetti?
Le persone che hanno una vita affettiva appagante, non sono poi quelle che riescono in tutto e che rimangono stabili anche davanti ai fallimenti?
La mancanza di amore rende l'uomo più infelice che la mancanza di beni materiali che invece svuotano l'uomo come fa una calamita.
Ci hanno fatto studiare perchè non dovevamo svolgere lavori umili, eppure, anche se lo studio è fondamentale, ogni lavoro svolto con passione e competenza ha la stessa dignità di ogni altro.

Ci hanno detto che dovevamo viaggiare per lunghi periodi per vivere altre culture e aprire le nostre menti e noi non siamo riusciti a dire che anche se viaggiare è importante, lasciare i propri amici lascia un vuoto che non potrà essere colmato da nessun altro.

Amici. Anche i nostri genitori ci sono stati amici,
ma un amico è un amico, un fratello è un fratello, un padre è un padre.

No, noi non abbiamo fatto proprio nulla per creare alternative al loro futuro fosco.

Chi oggi ha trent'anni non ha nessuna certezza. Certezze ideologiche innanzitutto, certezze materiali in secondo luogo. Molti non hanno ancora una famiglia, non una casa, non un lavoro stabile, si dice che l'ascensore sociale si sia fermato.
I nostri genitori hanno rivendicato i loro diritti.
Noi, forse inebetiti dai programmi televisi, dal benessere, dall'amicizia dei nostri genitori, non abbiamo proposto alternative al futuro fosco che loro hanno creato.

Ora la società è cambiata notevolmente ed è ora di proporre alternative, di porre dei limiti e magari di rivalutare ciò che di buono c'era nella vecchia cultura che è stata rigettata.
Fino ad ora, in fondo, abbiamo ubbidito ai nostri genitori molto più di quanto loro abbiano ubbidito ai loro.